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La Storia...

Compie quest'estate novant'anni di vita uno dei rifugi piu' amati del Parco Adamello - Brenta e dell'intero Trentino, il Dodici Apostoli. Costruito dalla SAT con i soldi dei fratelli alpinisti e patrioti trentini Carlo e Giuseppe Garbari nel corso del 1907 e del 1908, fu inaugurato nell'estate di quest'ultimo anno, piu' esattamente alle 5 del pomeriggio del 20 agosto, come ci ricordano le cronache di quell'epoca e la prima pagina del libro del rifugio. L'edificio, quasi inalterato nell'originaria struttura "a cubo" per tutto l'arco della sua vita , sorge nella parte meridionale del Brenta, a 2489 metri ed in una posizione veramente felice, su di un balcone naturale di roccia calcarea che domina la sottostante Val Nardis, di fronte alla teoria di cime innevate che va dal Care' Alto alla Presanella, che svettano appena al di la' del verde solco della Val Rendena. A monte una cerchia di vette, tra le quali spiccano la Tosa, l'Ambiez e l'Agola che racchiudono le vette di Pra' Fiori', dell'Agola e dei Dodici Apostoli. A proposito di Apostoli. Il nome e' stato esteso anche al rifugio - che piu' correttamente e' dedicato ai "Fratelli Garbari" - ma fa direttamente riferimento ad un fenomeno geografico, l'erosione di un tratto roccioso a sud del Passo detto appunto "dei Dodici Apostoli" che da' sulla Val di Sacco; erosione che ha originato una serie di sculture simili a delle figure in preghiera. Dal Passo il nome e' stato poi diffuso alla vicina Cima, alla vedretta che occupa il circo superiore della Val di Sacco ed alla spianata sulla quale e' sorto il rifugio. Con il trascorrere del tempo, l'area ed il rifugio sono rimasti, semplicemente, "i Dodici". La forma a cubo, che garantiva la difesa da infiltrazioni e da scoperchiamento (oltre che facilitare la costruzione), fu un'architettura tipica dei rifugi costruiti in quel periodo: ristrutturato il "Garbari" ora ne rimangono in Trentino solo altri due, il "Segantini" in Val d'Amola (Presanella) ed il "Taramelli" ai Monzoni (Dolomiti). A proposito della validita' della costruzione cosi' scriveva l'Annuario SAT nel 1922: "Il Rifugio 12 Apostoli e' saldo e solido come un monolito". Frequentato pochissimo fino al secondo dopoguerra (nell'anno 1947 fu gestore anche Bruno Detassis), il rifugio ha legato la sua vita dal 1948 ad oggi - e dunque anche qui le "nozze d'oro" - alla famiglia Salvaterra di Pinzolo. Fu infatti la scommessa di Adolfo con i genitori Giuseppe e Maria Salvaterra, quella di credere nello sviluppo dell'alpinismo e del turismo anche a quelle quote ed in quei luoghi silenziosi, dominati dal volo dell'aquila reale (Agola, infatti, significa aquila). Turismo che fu in seguito favorito dall'apertura degli impianti di risalita al Doss dei Sabioni e delle strade che portavano le macchine a Malga Movlina ed a Malga d'Agola (prima ci volevano altrimenti quasi 5 ore per arrivare al rifugio. Ben presto la cordialita' dei Salvaterra riusci' a riempire di umanita' quel cubo isolato contro il cielo, contribuendo a creare quello spirito di solidarieta' in montagna che e' sempre stato un punto d'onore della SAT. Scomparso Giuseppe, nel 1959, il lavoro ricadde sulle spalle di Maria, classe 1900, piu' tardi conosciuta con il delicato nome di "nonna del Brenta": aiutata dai figli e quindi dai nipoti, l'esile e dolce Maria prosegui' per molti anni ancora l'opera di conservazione e miglioramento della struttura, salendo con le sue gambe la "Scala santa" - come e' chiamato il tratto piu' impegnativo del sentiero - fin quasi a novant'anni, solo po chi anni prima della sua scomparsa. Ma il "Dodici Apostoli" e' conosciutissimo ed amato da tutti gli alpinisti anche perche' ospita nei suoi pressi quella che probabilmente e' la piu' bella - e sicuramente piu' originale - chiesetta di montagna: quella scavata nella roccia del versante settentrionale della Cima Dodici Apostoli e le cui finestre disegnano una croce alta quasi 10 metri dissolvendo il buio della montagna nell'azzurro dell'infinito, a significare l'eternita' dello spirito. L'idea della chiesetta nacque a seguito di un tristissimo evento che avvenne alla fine di luglio del 1950: la morte, in un crepaccio della vedretta dei Camosci, di tre giovani escursionisti, Vittorio Conci, Giuseppe Fiorilla e Maria Rita Franceschini (alla disgrazia sopravvisse una quarta persona, Mauretta Lumini).

 

L'anno successivo un apposito comitato, guidato da Don Bruno Nicolini, e centinaia di sostenitori portarono avanti il progetto dell'opera, da dedicare nelle intenzioni ai tre giovani periti ed anche a tutti i caduti di tutte le montagne del mondo. Inizialmente la chiesa avrebbe dovuto sorgere a forma di tenda alle spalle del rifugio. Furono pero' la fantasia del geometra Leone Collini a disegnare un'opera originalissima: un traforo nella montagna, 500 metri cubi da "rubare" al cuore della cima per dar vita alla cappella ed alla grande croce. La prima carica di dinamite, portata a spalle dalla Rendena (la teleferica di servizio al rifugio, infatti, e' stata costruita solo negli anni successivi), esplose nel luglio del 1952. Il 28 settembre dello stesso anno, alle ore 11.30, la nuova opera veniva inaugurata e benedetta. Da allora, alla fine di luglio di ogni anno, una lunga fila di alpinisti e di semplici appassionati sale (non possiamo dire "in religioso silenzio") per assistere alla cerimonia officiata in ricordo dei caduti, menre le note del "signore delle Cime" intonate dai coristi della Sosat risuonano per tutta l'alta Val Nardis. Ed ogni anno vengono poste nella piccola cappella scavata nella roccia le lapidi dei nuovi caduti, di tutti coloro che dalle montagne non hanno piu' fatto ritorno alle loro case, ma che sono passati direttamente a formare la lunga cordata per il Cielo. Per tutti questi motivi il "Dodici" e' un rifugio piu' unico che raro: per i luoghi, per i ricordi, per le sensazioni. Ogni salita e' una sorta di pellegrinaggio, utile per comprendere la limitatezza dell'uomo rispetto al tempo ed alla grandiosita' delle opere della natura. E se il 1999 ci ha portato in dono il rinnovato rifugio, sicuramente piu' attento all'ambiente ed alle esigenze del turista e dei gestori, a tutti quelli che lo hanno conosciuto prima rimarra' sempre impresso nella memoria quel piccolo cubo. Con la nonna Maria, il Dolfo, Nella, Marco, Luisa, Ermanno e tutti gli altri familiari ed amici che si sono fatti in quattro per lavorare in questo rifugio bonsai, per far sentire quasi come a casa loro alpinisti di mezzo mondo dispensando loro minestrone e consigli. Tanti auguri, "Dodici". E tante grazie, Salvaterra.

Le foto di questo articolo sono tratte dal testo di A. Stenico e R. Bombarda 

"XII Apostoli, un rifugio, una chiesetta". edizioni Artigianelli

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